Al pianoforte con…il m°Daniele Alfieri

Compositore, pianista, arrangiatore, orchestratore…C’è solo l’imbarazzo della scelta. In quale veste intervisteremo il responsabile musicale della CdS Academy?

Apriamo l’intervista a DANIELE ALFIERI (nato a Roma il 09/06/1991) con una foto in omaggio al suo inseparabile strumento, il pianoforte, con il quale nel 2021 ha conseguito sia la Laurea specialistica in composizione all’ Istituto Pontificio di Musica Sacra, con il m° Manganelli, sia quella in composizione al Conservatorio San Pietro a Majella, con il m° Panariello. Due ulteriori obiettivi raggiunti e che vanta nel suo curriculum. (La sua bios completa: qui).

Ciao Daniele, grazie per aver accettato il nostro invito. Puoi raccontarci quando e come è nata la tua passione per il pianoforte? A cosa hai rinunciato rispetto ai tuoi coetanei?

Grazie a te di avermi proposto un’intervista; per me è un immenso piacere. La passione per la musica mi è stata trasmessa in primis da mio padre e dal clima musicale che si respirava dentro casa. Ho alcuni video di me da bambino, ancora nella culla, con Chopin in sottofondo. All’età di 8 anni ho iniziato a strimpellare qualche strumento in chiesa e mi divertiva molto. Finché in prima media la professoressa di musica ci ha fatto comprare la “pianola”. Mi ricordo la meraviglia che ho provato appoggiandoci le dita. Lì è nato un amore che si è sviluppato negli anni, specialmente grazie ai miei insegnanti che hanno saputo farmi divertire, appassionare e che mi hanno fatto conoscere la musica nella sua profonda bellezza.
Ho rinunciato a tante cose, sia perché studiare musica significa investire parecchi soldi (e quindi niente cellulari di un certo tipo, vacanze all’estero o altro) sia perché si tratta di aggiungere materie di studio alla vita di un ragazzo e quindi ero costretto a rinunciare alle vacanze estive, al mare con gli amici, ai pomeriggi di relax, agli sport di una certa categoria, ecc…Posso dire, però, che la musica nasconde un trucco: più tu le dedichi del tempo, più lei ti regala nuove emozioni.

Qual è il momento più emozionante che ricordi del tuo percorso musicale?

Ci sono stati diversi momenti musicali che porto nel cuore: il concerto con la mia band, ad Ostia, appena dopo la maturità è senza dubbio il più divertente che abbia mai fatto; quella domenica mattina in cameretta a comporre l’Ave Maria, poco dopo la morte di mia madre; infine la prima replica del “Gobbo di Notre Dame”, lo spettacolo che facemmo con i Compagni di Scena nel 2015 presso il Teatro Domma (intitolato al fondatore don Mario Torregrossa): coinvolse 60 di noi ragazzi e per un anno mi fece passare quattro giorni a settimana in teatro, togliendomi il sonno per l’ansia e per il materiale da preparare. Ma come ho detto la musica è così: più le dai, più lei ti ridà indietro.

Video dello spettacolo Il Gobbo di Notre Dame rappresentato con musica dal vivo nel 2015 presso il Teatro don Mario Torregrossa e di cui Daniele Alfieri ha curato l’orchestrazione. Per la prima volta rappresentato in Italia, le liriche originali sono di Daniele Adriani. Alla regia, Marco Mininno.

Tra i brani del tuo repertorio ce n’è uno a cui ti senti più affezionato? Perché?

Tra i brani che ho studiato ricordo con maggiore interesse la sonata n.110 di Beethoven. Quella sonata è un universo intero contenuto in qualche dozzina di pagine. Mi ricordo che durante una lezione domandai al mio insegnante: “Maestro, ma siamo stati una lezione intera su questa pagina?” E lui mi rispose: “Su questa pagina potremmo passarci l’intera vita”.

Chi sono i pianisti del passato che ami di più e perché? E quelli che hai studiato maggiormente e che ti hanno appassionato?

Si chiamano Vladimir Horowitz e Arturo Benedetti Michelangeli. Ovviamente ce ne sono anche tanti altri, ma secondo me loro due hanno raggiunto l’apice dell’esecuzione pianistica. Horowitz si diceva che riuscisse a far “cantare” il suo pianoforte, come se si sentisse una voce umana. Quest’uomo, che ha avuto una vita affatto semplice, ha toccato l’abisso più profondo dell’interpretazione. Difficile non commuoversi quando lo si ascolta.
Benedetti Michelangeli, invece, è quanto più ci possa essere di perfezione musicale. Peraltro una persona di gigante spessore umano, di grande umiltà… E poi ammetto che in me vive anche un po’ di sano patriottismo.

Tra i pianisti che ho studiato, anche se è meno pianista di altri, credo che Debussy sia quello che ha più influenzato la mia ricerca musicale e il mio stile.

Secondo te oggi la musica e l’arte in generale sono ritenute importanti? Pensi che tutti dovrebbero avere l’opportunità di avvicinarsi fin da piccoli alla musica ed allo studio di uno strumento?

Credo che nessuno oggi abbia il coraggio di dire che l’arte non sia importante, specialmente la musica. Tutti amano la musica, chi un genere, chi un altro. Tuttavia, bisognerebbe chiedersi se oggi si ritiene importante dare importanza alle cose importanti (scusa il gioco di parole). Il nostro è un mondo proiettato verso l’interesse istantaneo, lo scorrimento, l’accumulo di tante piccole cose, poco importanti. Un mondo superficiale, perché non sai scendere giù: hai paura, non hai tempo, non hai voglia. Sai quanti arriveranno in fondo a questa intervista di quelli che hanno iniziato? Sai quanti nemmeno l’inizieranno a leggere? Non sappiamo dare tempo al tempo, non sappiamo ritagliarci il giusto spazio, avere una carità intellettuale per dedicare parte della nostra vita alla ricerca e all’approfondimento.
Non credo personalmente che le persone debbano avvicinarsi allo strumento sin da piccoli. Mi ricordo la conversazione con Thomas Hindermule: “non servono altri musicisti… Siamo già troppi – in un italiano molto comico – servono altri amanti della musica!”. Non è importante avere una società di musicisti… Sarebbe come chiedere di avere una società di attori o di pittori o di ballerini. Piuttosto portare alle persone alcuni concetti musicali fondamentali per una struttura culturale come uomo. La musica domina il tempo, perché si dispiega in esso. Prende lo scorrere dei secondi e ne manipola la struttura fisica, riuscendo a plasmare la scienza e darle la forma di un’emozione. Per capire una nota, hai bisogno non solo della nota prima e di quella dopo, ma hai bisogno anche dell’ultima nota. Ma un compositore, un artista o un cantautore che – invece di dominare l’arte, riassumere l’esistere e semplificarlo per donare all’ascoltatore una nuova conquista culturale – cede alla tentazione di banalizzare le scelte musicali, portando avanti contenuti vuoti, atti solo all’accumulo e allo scorrimento, è ovvio che non fa altro che allontanare il pubblico dalla bellezza della profondità e dello scorrere del tempo.
Capisci perché la nostra società è superficiale e perché ha un enorme bisogno di incontrare la musica?

Daniele Alfieri durante il musical “The Last Five Years” portato in scena con musica dal vivo prima sul palco del Teatro Don Mario Torregrossa nel febbraio 2020 e poi ad agosto presso il chiostro del Palazzo del Governatorato del X Municipio di Roma nell’ambito della rassegna “I suoni del mare”.

Immaginiamo che tu abbia di fronte una numerosa platea di adolescenti di una scuola secondaria. Quali i temi principali che secondo te andrebbero affrontati per appassionare giovani menti all’arte della musica classica, non solo da ascoltare, ma anche da suonare?

Non trovo negli adolescenti argomenti diversi dagli altri. Non credo abbiano mancanze in più o in meno rispetto agli adulti o ai bambini. I concetti sono sempre quelli, ma cambia il modo. L’adolescente cerca risposte perché la giovinezza è quel periodo della nostra vita dove compiamo le scelte fondamentali. Gli adolescenti sono pieni di energia ma non sanno dove indirizzarla, perché semplicemente non si conoscono. Quello che farei con loro è semplicemente aiutarli a conoscersi: cosa amano, cosa vogliono, chi sono, cosa li fa soffrire e cosa li fa gioire. Come farebbero altrimenti a compiere le giuste scelte? Con gli adolescenti la musica non si insegna, ma la si tira fuori.

Un’ultima domanda: ai nostri lettori che volessero conoscere i tuoi interessi e qualcosa di te al di là del musicista, cosa racconteresti?

Devo dire che la musica prende gran parte delle mie giornate, anche perché la musica stessa la ritroviamo un po’ ovunque. Oltre a lei, non penso di avere interessi originali: amo il cinema (più delle serie TV), le sitcom americane, i videogiochi, i fumetti, il padel (più del tennis), amo stare con gli amici, adoro vedere posti nuovi, visitare le città e soprattutto amo qualsiasi tipo di cucina!
Ma ciò che mi fa amare tutto questo e mi permette di avventurarmi nel mondo della musica è senz’altro la Fede. Ho avuto la fortuna di avere una storia familiare che mi ha portato a conoscere la Chiesa, a fare un cammino di fede e sperimentarne la bellezza. Questa è senza dubbio l’origine della mia musica: la vita, lì dove eri convinto ci fosse la morte; la gioia dove eri convinto ci fosse solo dolore; la bellezza, lì dove tutto ti sembra sprofondare nel nulla. Ecco perché penso che vivere sia una battaglia, mentre vivere con la musica sia consolante… Ma vivere con la Fede è qualcosa di meraviglioso.

GRAZIE ANCORA, DANIELE, PER QUESTE RISPOSTE SINCERE DA CUI EMERGE UNA TESTIMONIANZA DI VITA IMMERSA NELLA MUSICA E NELLA FEDE.

Margherita De Donato